Kavcic è uno dei cuochi internazionali più legati al sale. Sua è l'invenzione della cottura con la "piastra di sale". E sarà uno dei protagonisti dei laboratori di cucina al Saltexpó di Napoli, a maggio, oltre che del libro che editerà il Gambero Rosso per quell'occasione. Il sale, per Tomaz, è più di un ingrediente: è quasi una sorta di simbolo, un'icona della purezza della sua cucina.
Le sahne istriane di Pirano sono lontane dalla valle di Vipava e da Gostisce Pri Lojzetu, il ristorante di Tomaz Kavcic, Jeune Restaurateur d'Europe. Eppure il legame che questo cuoco sloveno ha stabilito con il loro sale varca le distanze portando in sé qualcosa di simbolico, di ancestrale. E non solo per l'intuizione dell'ormai famosa piastra di sale che ha fatto conoscere Kavcic al gran circo della gastronomia che si dà appuntamento ai congressi internazionali. Se la piastra di sale è stata per certi versi una formidabile trovata di marketing, a contare nel mondo di Tomaz sono piuttosto il candore e la purezza di una cucina (e insieme, del personaggio) dei quali un sale così puro rappresenta l'emblema. Il suo "teatro" va in scena nel "castello" di Zemono, antica villa padronale appartenuta prima degli espropri comunisti ai conti Lanthieri di Venezia. Era in realtà un casino di caccia edificato nel '700 per feste e festini cui partecipava persino Casanova. Venezia del resto è a un'ora o poco più di macchina, tant'è che qui, proprio nel teatrino di questa antica villa, Goldoni rappresentò - raccontano - la sua prima commedia essendo suo padre il medico della famiglia Lanthieri. Insomma, il luogo ha illustri rimembranze. Intorno, i boschi e le vigne di una terra piena di promesse. Alle spalle, quattro generazioni di ristoratori che si sono fatti le ossa in un teatro diverso, senz'altro più modesto: quello di Dornberk, a 15 km da Zemono. Sull'attività della famiglia Kavcic è passato il vento della storia, con tanto di confisca durante il regime comunista, salvo poi la riconsegna una volta appurato che chi se l'era vista assegnare l'aveva portata a un tale disastro da convincere le autorità a restituirla alla signora Katja, la mamma di Tomaz. Lei sì che era in grado di farla fruttare con le sale della sua gostisce Pri Lojzetu (la trattoria di Luigino) sempre piene. Merito della bontà del cibo, ma merito anche di un calore che la famiglia sa evidentemente trasmettere attraverso atmosfere fatte di oggetti, di fiori, di presentazioni. Poi, nove anni fa, sempre "dalle Autorità", è arrivata la proposta di gestire il ristorante di Zemono, proposta che la famiglia considerò irrinunciabile. Ed eccoci al dunque.
il tratto materno è passato palesemente al figlio, uno stile di accoglienza che è la stessa madre a raccontare anche se, affaticata dai malanni, preferisce ormai lasciare tutta la scena a Tomaz. Lo racconta nel suo italiano 'Ai confine" tante volte utilizzato negli anni per comunicare con quegli italiani che, varcata la frontiera per fare un pieno di benzina più economico, si fermavano poi a fare scorpacciate nelle trattorie della zona e in particolare in quella dei Kavcic: «Da noi, dice, c'era sempre il pane del benvenuto, la pugacia», un pane che si spezza con le mani e si serve con il latticello acido, una sorta di yogurt molto liquido che ogni contadino su questi monti prepara con il latte delle sue mucche. Gli occhi di Katja si venano di ricordi: pane come benvenuto all'ospite, «pane caldo anche due volte al giorno, pane e cren, pane e olio, e poi rose di campagna, rose, rose e ancora rose che ogni stagione ha le sue, perché ogni stagione ti regala qualcosa, magari solo le erbe che però se le metti bene... e le tagliatelle di casa, gli gnocchi, la selvaggina, maiali, polli, lumache ... ».
La cucina della madre è stata il campo di gioco di Tomaz: «Mi addormentavo con quei profumi e quegli odori». Quei profumi e quegli odori se li è portati dietro assegnandogli un posto preciso nel suo menu a fisarmonica lungo 4 metri: "Da sempre con noi", ha titolato questi piatti. E da sempre con Tomaz c'è per esempio la salsa al cren presentata anche questa come benvenuto, «una salsa storica di mia madre che non mi permetterei mai di togliere dal tavolo». Sempre con lui ci sono poi il prosciutto di cervo cotto nel pane, la tartara, il carpaccio di selvaggina, la yota, il brodetto di pesce, la zuppa di porcini, gli gnocchi, le tagliatelle, il risotto con le ortiche... E poi, udite udite... l'orso. Trattasi delle carni di esemplari in soprannumero abbattuti sotto il controllo del corpo forestale. Le zampe e le guance d'orso (cotte sottovuoto a bassa temperatura) e servite con polenta bianca sono una prelibatezza. Ma qui arriva anche il pesce dell'Adriatico, scampi e gamberi saporitissimi delle acque istriane. Fu proprio preparando un branzino al sale, dopo la visita alle saline di Pirano, che a Tomaz venne l'idea di aromatizzare in vario modo il fior di sale e di trasformarlo in un letto su cui cuocere pesce e carne. A fargli cambiare il punto di vista su questo ingrediente fu l'incontro con un safinaio che aveva alle spalle cinque generazioni di lavoro in salina, e il racconto delle sue tante storie: «Da allora non ho più guardato il sale come un chilo di sale. Ogni sacco ha la sua storia. Il sale è m'opera d'arte della natura, un pezzo di mare che non è voluto andare in cielo e se ha voluto rimanere con noi dobbiamo dargli attenzione». La realizzazione della piastra di sale (presto brevetterà due pentole ad hoc) aromatizzata con le erbe e le spezie che le donne slovene andavano a vendere oltre confine, a Gorizia, ha dato stupendi risultati: «il sale è generoso, regala morbidezza, umidità, fragranza». Affumicato con i tralci delle viti bruciate trasferisce alle carni un gusto speciale, aromatizzato con ghiande e legni aromatici regala ai porcini o alle melanzane sentori insoliti. Non è quella di Tomaz una cucina di laboratorio, se mai è una cucina fatta di ancestralità, di sapori primari trattati con rispetto e delicatezza. «A me piace usare le tecniche ma solo fino al punto in cui ti possono aiutare senza cambiare il gusto della materia prima e soprattutto se non ti complicano la vita. La mia non è una cucina muscolare. Cerco solo soluzioni, idee semplici». Le ultime ricerche culinarie di Tomaz trovano collocazione nel menù degustazione che si segnala come il "pensiamo a voi", cinque portate tra cui per esempio gli spaghetti alla falsa carbonara o lo strudel crudo o il tortino al cioccolato servito su salsa di olive nere.
Proprio per non lasciare la sua cucina a se stessa, per spiegare, Tomaz preferisce spendersi in sala (in cucina gli danno un validissimo aiuto i suoi collaboratori, Jolanda, Marco Bolcine e Stefano). «Soffro quando vedo piatti con grandi idee rovinati da chi li porta in sala. Per questo ci metto tanta cura nel rapporto con i clienti. Il ristorante è un luogo, dove ci si deve rilassare, sentire a proprio agio». Accanto a lui Flavia, la compagna goriziana, arredatrice, cui si deve infatti l'arredamento, di un bianco che richiama il sale. Come i due grandi sacchi che attendono l'ospite all'ingresso del ristorante, il benvenuto di Tomaz.
Piastra di sale
Ingredienti:
I abbondante mazzo di erbe aromatiche a piacere (salvia, rosmarino, timo, alloro, santoreggia...); pepe di Cayenna e di Szechuan; bacche di ginepro; 3 kg di sale grosso (ma la quantità varia a seconda delle dimensioni della piastra)
Con una parte delle erbe aromatiche e un litro di acqua bollente preparare un infuso. Lasciar riposare nell'acqua per mezz'ora circa, poi filtrare il liquido e versarlo in un vaporizzatore. Mescolare il sale con le erbe aromatiche tritate e con le spezie. Stendere direttamente il miscuglio su una piastra rovente cercando di livellarlo con una spatola oppure sistemarlo in una teglia di alluminio che andrà posta su una fonte di calore (lo spessore dello strato non deve tuttavia essere inferiore ai tre centimetri). La temperatura del sale deve raggiungere i 120°. Vaporizzarlo con l'infuso e continuare a tenerlo umido durante la cottura degli ingredienti. La vaporizzazione ha anche la funzione di rendere la piastra di sale compatta. L'aromatizzazione della piastra è indicata per la cottura delle carni, in particolare dell'agnello. Quando invece si cuoce il pesce, è preferibile preparare una piastra di solo sale. Naturalmente l'aromatizzazione si basa sui gusti personali.
Raffaella Prandi
Sale naturale di scampi
Ingredienti:
I kg di scampi; 250 g di sale
Pulire gli scampi separando le teste dai carapaci, utilizzando la polpa per altri usi. Sistemarli in una teglia tenendo separate le teste dai carapaci e coprendo di sale solo le teste avendo cura di farlo penetrare anche all'interno. Infornare per 40 minuti a 80°. Togliere la teglia dal forno, introdurre le teste in un sacchetto di plastica e scuoterlo energicamente in modo che tutto il sale si separi. Eliminare le teste e raccolto il sale, mescolarlo ai carapaci e infornare di nuovo la teglia per altri 20 minuti a 80°. Trascorso questo tempo, frullare il tutto al mixer e setacciare. II sale di scampi può trovare diversi impieghi. Innanzitutto su crostacei o sul pesce crudo ma anche su paste e risotti.
Povero che diventa ricco
Ingredienti:
400 g di purea di patate; 100 g di crema di latte; I/2 radice di rafano; I kg di cipolle rosse; 500 g di sale grosso; I tazza di zucchero; I tazza di aceto
Affettare le cipolle e lasciarle sotto sale per mezz'ora a temperatura ambiente poi sciacquarle e asciugarle. Preparare uno sciroppo con l'aceto e lo zucchero e unirvi le cipolle facendole caramellare. Preparare quindi un normale purè unendo alle patate la panna e il rafano grattugiato quindi passarlo a un setaccio fine. Trasferire questa crema nel sifone mantenendola tiepido in un bagnomaria. Sistemare un po' di cipolla sulle pareti di un piccolo bicchiere e riempire con la crema di patate sifonata.
Fegato grasso con frutta seccha
Ingredienti:
I fegato grasso d'oca ben pulito del peso di circa I kg;
I litro di ottimo spumante; pinoli; pistacchi; albicocche secche; prugne secche; fichi secchi; fior di sale di Pirano; olio di semi di zucca; melograno
Mondare il fegato grasso e farlo marinare per sei ore nel vino, quindi scolarlo, asciugarlo e affettarlo sottilmente. In stampini individuali alternare fette di fegato grasso con strati di frutta secca sminuzzata.
Sistemare gli stampini in una teglia cuocendoli a bagnomaria a 72-75° per 20-25 minuti. Far riposare fuori dal forno per due ore. Rovesciare gli stampini
nei piatti individuali e completare con qualche granello di fior di sale. Accompagnare con fette di pan brioche e un'insalatina. Rifinire il piatto con olio di semi di zucca e grani di melograno.